una recensione a cura di Alessandro Cellamare
Sempre chi vi scrive, all’epoca già mesmerizzato dal cinema da alcuni anni, ha altrettanta memoria dell’inefficacia dei titoli proposti, spesso rei delle stesse colpe del docente: incapacità di raccontare, inabilità nell’appassionare, insufficienza a emozionare.
Se il documentario si presenta come forma asettica (nella sua espressione più televisiva) di proposizione di strumenti e analisi di fatti e personaggi, il cinema, nelle sue manifestazioni migliori, si offre, tra le sue funzioni (non sempre scopi), come occasione rara non solo di accattivante comunicazione di dati ma anche di interpretazione e immersione.
Il cinema, dunque, come critica.
Si termina la visione avendo la netta sensazione di aver compreso la sua arte, di capire il senso dei suoi colori, dei tratti brutali dei suoi disegni, delle sculture, come fossero tutti un unico urlo a un mondo che non lo ascoltava, né lo placava.
Volevo nascondermi è Critica e descrive al tempo stesso, e finalmente, a cosa la Critica serva, al di là dei sospetti di accademismo e degli atteggiamenti snobbistici.
Non solo.
Mostra quel che solo il Cinema, tra le Arti, può fare.
Spiegare l’Arte, discutere sull’Arte, attraverso l’Arte.

