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WOMEN TALKING – IL DIRITTO DI SCEGLIERE | Un urlo sommesso contro prevaricazione e paura

Titolo originale: Women Talking

Regia: Sarah Polley

Anno: 2022

Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Un luogo imprecisato in un momento imprecisato, quasi atemporale. Questa è l’impressione che sorge nello spettatore alla vista dell’ambiente e degli eventi che sono alla base del film di Sarah Polley. Anche se già nella parte iniziale della vicenda, la collocazione temporale si fa più chiara a causa della breve comparsa di un moderno pick-up, che assurge – in qualche modo – a simbolo di quanto giace all’esterno della storia narrata. Siamo – infatti – in una comunità Mennonita che vive isolata dal resto del mondo e appartiene alla più numerosa fra le chiese anabattiste nate in Europa nel XVI secolo. La sua collocazione geografica resta – invece – oscura, anche se il romanzo da cui è tratto il soggetto prende spunto da una vicenda realmente accaduta in Bolivia. L’ambientazione dei fatti è evocata nel film dal riferimento alla costellazione australe della Croce del Sud – usata per orientarsi – che rende la collocazione del luogo ancor più straniante per lo spettatore, che sarebbe portato a pensarla nel Nord America.

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L’incipit del film è l’incredibile scoperta, da parte delle donne della comunità, che le condizioni in cui a volte si trovano al risveglio dal sonno notturno – con lividi, segni di percosse e tracce di possibile violenza sessuale in ogni parte del corpo – sono dovute esclusivamente agli uomini del villaggio – padri, mariti, figli, vicini di casa – che usano (molto simbolicamente) un narcotico per mucche al fine di addormentare le donne – magari dopo essere entrati di soppiatto dalla finestra – per abusarle mentre cadono in un sonno profondo. A causa di ciò alcuni degli aggressori vengono arrestati, mentre gli altri uomini della comunità iniziano a raccogliere i fondi necessari per pagare l’eventuale rilascio su cauzione degli imputati e si recano in città per solidarietà con questi ultimi. Il paesino, quindi, si spopola quasi del tutto della componente maschile, con l’isolata eccezione di August, il timido insegnante della scuola.

Le donne della comunità, provate dagli abusi e dalla rivelazione della modalità con cui avvengono, decidono di riunirsi in seduta permanente per valutare se fare qualcosa e, nel caso, decidere come agire. Insieme a loro è presente l’insegnante, incaricato di redigere le liste dei pro e dei contro associati alle varie alternative che prenderanno in considerazione. Al confronto parteciperanno come rappresentanti della comunità femminile solo otto donne del villaggio – due anziane, quattro giovani donne e due ragazzine poco più che adolescenti – che, alla fine, decideranno per tutte.

Ma qual è la spiegazione della presenza di August che, pur non partecipando alla discussione, seguirà la discussione sulle varie opzioni e prenderà atto in anteprima della decisione che ne scaturirà? La presenza del giovane maestro è non solo necessaria ma addirittura inevitabile, poiché nessuna donna della comunità sa né leggere, né scrivere. E, quindi, è per loro impossibile stilare le liste dei pro e dei contro, indispensabile per decidere il futuro di tutte loro, riassunto in tre sole possibili alternative: perdonare restando al villaggio senza far nulla; restare e combattere apertamente assumendosi i rischi del conflitto; andare via portando con sé le figlie e i giovani maschi, prima che anche questi vengano portati sulla terribile strada già percorsa dai loro nonni, padri e fratelli maggiori.

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Il film si snoda – quindi – fra una lunga teoria di dialoghi a tratti straordinari, in cui alla luce di piccole candele (come per gli Amish, conosciuti in Witness – Il testimone di Peter Weir, l’uso della tecnologia è limitato all’essenziale se non addirittura proibito) il ristretto gruppo di donne soppesa lungamente ogni ipotesi a favore o contro ciascuna delle soluzioni alternative prospettatesi. Dal dibattito emergono una consapevolezza, una maturità e – soprattutto – una capacità di analisi quasi inspiegabili alla luce delle condizioni di assoluta ignoranza e analfabetismo in cui le donne sono state da sempre costrette nell’ambito della comunità. Tale aspetto può sembrare una forzatura ma, in realtà, è dichiarato esplicitamente in premessa: “Ciò che segue è un atto di immaginazione femminile”. In un susseguirsi di discussioni anche accese fra le varie anime del gruppo – alcune più passive, altre consapevoli, talune financo bellicose – matura la scelta finale, senza che nessuna di loro abbia contatti di una qualche rilevanza con il resto delle donne del paese, talvolta ostili come nel caso di Scarface Janz interpretata da un’algida e puntuta Frances McDormand. La sintesi delle paure e delle aspirazioni di ciascuna di loro e delle differenti modalità di azione ipotizzate, conduce il piccolo gruppo – e il resto delle donne della comunità – alla decisione finale in coerenza con il loro essere donne e con la loro fede religiosa.

In un film di stile teatrale, in cui il mondo esterno assume esclusivamente i contorni di alcuni scorci di prati e dei vicini dintorni delle case, Sarah Polley dipinge uno spaccato di valore universale del mondo femminile e del suo modo di porsi di fronte alle difficoltà e alle avverse condizioni della vita. A farla da padrone, quindi, sono la capacità di ascolto e di mediazione, nonché la qualità di analisi e di ragionamento di otto donne la cui personalità è stata compressa (e repressa) in ogni possibile modo: spirituale, culturale e fisico. Per un risultato che rappresenta un importante messaggio di speranza in un momento storico in cui il ruolo della donna se da una parte si afferma prepotentemente (in molte società, ma non in tutte), dall’altra parte è fortemente messo in discussione a causa del fatto che il “maschio” è il frutto tossico di migliaia di generazioni di selezione naturale e culturale orientata ad esaltarne le capacità di controllo, il senso del dominio e le doti di aggressività verso l’esterno e l’interno. Non a caso, nella vicenda narrata i temi del cambiamento culturale e della necessità di una nuova educazione costituiscono un punto centrale, così come ha una grande rilevanza il personaggio del maestro, interpretato da Ben Whishaw.

Bella fotografia dai colori desaturati, che alterna interni dai colori più lividi a pochi esterni dalle tonalità un po’ più calde e luminose. E ottima interpretazione corale delle attrici, per un meritato Premio Oscar alla miglior sceneggiatura non originale.

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