Regia: Paul King
Anno: 2023
Produzione: Regno Unito, Stati Uniti d’America
una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
Nonostante si possa presumere che Roald Dahl e Pamela Lyndon Travers – l’autrice di Mary Poppins – avessero poco in comune, viene da chiedersi se le reazioni dell’autore de “La Fabbrica di Cioccolato” di fronte al film Wonka di Paul King sarebbero state simili a quelle della scrittrice anglo-australiana al cospetto della trasposizione disneyana nel film Mary Poppins del 1964, descritte in Saving Mr. Banks. Paragone che può sembrare forse un po’ astruso ma che è suggerito dall’evidenza che entrambe le opere cinematografiche sono dei prodotti di intrattenimento sicuramente ben riusciti ma distanti dallo spirito dei romanzi originari. Questo è particolarmente vero per Wonka, non tanto per il fatto di non rifarsi alle vicende del romanzo – di cui costituisce un possibile prologo – ma perché lo spirito del creatore della fabbrica di cioccolato è molto lontano dalle peculiarità del personaggio letterario. Caratteristiche che erano molto ben rese, invece, sia da Gene Wilder nella prima trasposizione cinematografica del 1971 per la regia di Mel Stuart, sia da Johnny Deep nel film di Tim Burton del 2005, in cui il tocco del regista americano – come sempre molto personale – ben si adattava allo spirito dell’opera.
Il Wonka di King è invece molto più vicino a un vero e proprio racconto dickensiano per la bontà ingenua del protagonista e per le atmosfere evocate sia mediante la scenografia, sia grazie al contesto di sfruttamento dei più deboli e degli orfani in particolare, qui rappresentati dalla giovane Noodle (Calah Lane). Un Dickens rivisto, anche in questo caso, con tocco quasi disneyano (per ironia della sorte in un film distribuito dalla Warner Bros.) che pur rappresentando senza infingimenti cattiverie e sopraffazioni mantiene sempre un’impronta leggera e positiva, in fondo proprio ciò che Walt Disney/Tom Hanks – nel già citato Saving Mr. Banks – descriveva come caratteristica distintiva del suo mondo interiore e come personale forma di reazione alle difficoltà della sua infanzia.
Il film rischia, quindi, di assomigliare a molte altre opere di buoni sentimenti proposte durante il periodo natalizio, nonostante sullo sfondo vi siano comunque tematiche impegnative quali la rappresentazione di un sistema capitalistico sleale e di puro accumulo e, forse la parte più originale, l’idea chiave dell’ambivalenza del cioccolato: certamente delizia del palato e dolce inimitabile che porta allegria e consolazione, ma anche creatore di dipendenza al punto di diventare uno strumento di corruzione.
Nonostante ciò, il film è comunque ben riuscito e gradevole per il mondo magico che propone e per i bravi interpreti, su tutti – come spesso capita – i particolarmente godibili villains, Olivia Colman e Tom Davis.